martedì 6 aprile 2010

Israele contro tutti?

Braccio di ferro tra Israele e la comunità internazionale.
Intanto il popolo palestinese,continuamente umiliato, sopravvive e spera.

”Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba”. Sono le parole che David Ben Gurion pronunciò nel maggio del 1948 agli ufficiali dello stato maggiore Israeliano. Ben Gurion ha ricoperto importanti incarichi di governo nel suo paese per 13 anni, come ministro della difesa e primo ministro. L’ aeroporto internazionale di Tel Aviv, la capitale diplomatica di Isralele, porta il suo nome. Tanto per ricordare, a chiunque arrivi nello stato ebraico, qual è il pensiero dello stato sionista rispetto alla questione palestinese.
In questi giorni un’escalation di tensione ripropone la questione medio-orientale agli occhi di tutti noi, distratti, che improvvisamente ci ricordiamo di un conflitto che, spesso silenzioso (ed ignorato da mass media e governi) continua indisturbato a provocare miseria, odio, violenza e morte.
La striscia di Gaza è praticamente sotto assedio ed isolata da quando Hamas ha vinto le elezioni palestinesi battendo Al Fatah, partito che gli elettori hanno bocciato in quanto responsabile di essere decaduto nella corruzione e soprattutto di aver sottoscritto accordi sottobanco con Israele; accordi che avrebbero avuto l’effetto opposto rispetto a quello di dare alla Palestina uno stato indipendente e sovrano.
La striscia, Gaza in particolare, sono un ghetto a cielo aperto. Un luogo in cui le condizioni di vita non sono molto differenti rispetto a quelle del Ghetto di Varsavia, dove vennero confinati centinai di migliaia di ebrei durante il secondo conflitto mondiale. A Gaza manca l’acqua, e quella che c’è spesso non è potabile, anzi è inquinata o volutamente avvelenata da sabotatori israeliani. Manca il cibo. Manca il lavoro (la disoccupazione è al 45%). Manca l’assistenza sanitaria. La mortalità infantile è a livelli altissimi. La sopravvivenza delle popolazioni palestinesi nella striscia di Gaza è possibile solo grazie agli aiuti della comunità internazionale. Se non ci fossero, la popolazione sarebbe praticamente destinata a morire di fame. Oppure, ad una rivoluzione armata che oggi è invece evitata da una sorta di assuefazione ad una situazione di subalternità (per usare un eufemismo) ad Israele. In questo clima è facile che trovino terreno fertile e si moltiplichino azioni terroristiche che hanno l’ obiettivo di colpire l’oppressore.
Nella West Bank la situazione è migliore. Ma le risorse sono poche, i territori più produttivi sono stati confiscati o vengono controllati dallo stato ebraico. Le risorse idriche, per fare un esempio, sono gestite da Israele. La mobilità all’interno degli stessi territori è ostacolata da numerosi check-in con soldati armati. Il muro che si sta costruendo sottrae ai palestinesi terreni che prima erano coltivati e che fornivano un supporto importanto per la fragile economica locale. I paesi di Bil’in e Nil’in, promotori di manifestazioni nonviolente contro la realizzazione del muro, sono stati dichiarati zona militare da Israele, impedendo di fatto a locali ed attivisti internazionali di poter proporre la propria protesta pacifica. Ogni grido che si propone contro lo stato di Israele deve essere zittito, ogni voce messa a tacere. La situazione in tutta l’area medio-orientale è evidentemente critica. Israele è un copro estraneo. E nulla fa per cercare di migliorare la situazione, forte com’è delle sue convinzioni e sicura di poter disporre di mezzi economici e militari lo mettono nelle condizioni di autodifendersi con assoluta forza. Nonostante non abbia mai ammesso di disporre di armi nucleari, si stima (secondo fonti attendibili) che lo stato israeliano disponga di almeno 150 testate. E quindi fa praticamente parte del cosiddetto “club dell’atomo” insieme a Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Regno Unito, Pakistan ed India. E a parte le armi nucleari, con i suoi 186.500 effettivi (secondo i dati del 2008) tra uomini e donne, le forze armate di Israele sono una forza che in caso di necessità può triplicarsi in poche ore, grazie alla mobilitazione di 445.000 riservisti. 'esercito d'Israele conta 15 divisioni suddivise in 76 brigate, 3.500 carri armati, 10.000 mezzi blindati vari veicoli per il trasporto truppe, ai quali si aggiungono 1.300 pezzi d'artiglieria[2]. Fiore all'occhiello delle forze armate, sempre secondo i dati del 2008, è l'aviazione che invece può contare su ben oltre 300 aerei da combattimento, oltre 40 aerei da trasporto e 302 elicotteri (compresi quelli d'assalto Apache), mentre la difesa antiaerea vanta un centinaio di batterie missilistiche (a lunga e media gittata). La marina israeliana può dal canto suo schierare 3 sottomarini, 17 navi da combattimento e 33 pattugliatori (fonte wikipedia). Insomma, in poche parole, Israele potrebbe fare da solo, e spesso fa da solo, compiendo azioni militari unilaterali come è accaduto recentemente proprio a Gaza e in Libano.
Barak Obama, il presidente degli USA, ha l’obiettivo di far ripartire il processo di pace e soprattutto di fargli intraprendere una rotta nuova per portare il negoziato ad un approdo sicuro. Questa accelerazione pare stia infastidendo lo stato ebraico che le braccia protettive di Stati Uniti e Regno Unito, a quanto pare, tengono meno stretto rispetto al passato.
La costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme annunciata durante la visita in Israele del vicepresidente americano Joe Biden, la vicenda dell’uso di passaporti Inglesi da parte del Mossad (il servizio segreto israeliano) per compiere l’assassinio di Mahmoud al Mabouh in un hotel di Dubai sono solo due degli ultimi cunei che stanno filando la marmorea solidità dello stato ebraico.
E la reazione è opposta a quella che invece in molti si attendevano. Ecco dunque che nel periodo di maggiore isolamento internazionale Israele minaccia una nuova operazione militare nella striscia di Gaza, dove i residui di armi al fosforo mietono ancora vittime a distanza di mesi. Come a dire: noi andiamo avanti per la nostra strada, anche da soli.

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