mercoledì 28 luglio 2010

Mi sento a casa...Viva Palestina! Condividi

La prima sensazione che ho provato, non appena mi sono ritrovato di fronte il muro di separazione, è stata di sgomento.
Poi smarrimento, impotenza, rabbia.
Il muro ti sbatte contro, ti abbatte, ti colpisce, ti schiaccia.
Non può essere altrimenti, chiunque tu sia, il muro è più grande di te.
E' il simbolo dell' apartheid, è la sconfitta dell' umanità.
Con gli altri compagni di viaggio ci siamo messi in fila, insieme ai tanti palestinesi che fanno quel passaggio ogni giorno per andare a lavorare o per tornare nelle loro case.
Non è mi è stato possibile sentire il dolore dell'umiliazione, la ferità della costrizione in un ghetto, la mortificazione che ti da la privazione delle libertà.
Ho solo cercato di avvicinarmi il più possibile a questo sentimento.
Ero arrivato in quella terra da poche ore...
Stavamo per lasciare Gerusalemme Est.
Mi sentivo il collo stretto tra le mani di un gigante. Ho percorso quegli infiniti passi all' interno del Chek-Point di Betlemme.
Superato corridoi di rete metallica, tornelli, metal detector.
Leggevo stranito assurdi cartelli scritti da mano israeliana che recitavano "Mantieni pulito il tuo chek point". Dall'interno dei loro bunker i militari israeliani con aria di sfida e con tono strafottente giocavano con il tempo e la pazienza di molti.
Fuori animali in gabbia. Bestie. O forse peggio.
Mi mancava l'aria...mi sentivo soffocare.
Passiamo l'ultimo controllo, quello del passaporto.
L'ennesimo militare controlla il mio passaporto, guarda la mia foto, poi me.
Ricambio il suo sguardo con il mio. Per lui provo pena e rabbia, nella stessa misura.
Mi rende il passaporto. Percorro gli ultimi metri di gabbia.
Un lungo corridoio chiuso tra muro e rete metallica, il cielo di filo spinato.
In fondo la luce, quella che loro chiamano "uscita".
Mi sveglio da quell'incubo...mi sento a casa!
Viva Palestina!

mercoledì 12 maggio 2010

Obama mediatore. Israele fa il gioco delle tre carte. La Palestina spera.

E’ notizia di questi giorni la riapertura dei negoziati tra Israele e Palestina per cercare una soluzione ad un conflitto che da troppo tempo destabilizza l’intera area medio-orientale. A mediare tra le due parti, gli Stati Uniti. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat, hanno incontrato il diplomatico statunitense George Mitchell, a Ramallah. L’obiettivo palestinese è evidente: la nascita di uno stato indipendente che abbia giurisdizione sul territorio della Cisgiordania e nella Striscia di gaza, con capitale Gerusalemme. Dal canto suo Israele ritiene sua capitale naturale la stessa Gerusalemme e, non ha caso, ha da poco annunciato la costruzione di nuove colonie nella città. L’apparente stop alla realizzazione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme annunciato dal premier Nethanyau è stato smentito dal ministro israeliano alla pubblica sicurezza Yitzach Aharonovitch che ha annunciato invece che si procederà presto alla demolizione di abitazioni arabe per far posto a nuove costruzioni israeliane, e che tale mossa non era stata comunicata precedentemente proprio per non compromettere i negoziati sollecitati dal presidente americano Obama. Insomma, un passo avanti e due indietro nell’intricata questione.
Israele come al solito fa il bello ed il cattivo tempo e non manca di dare dimostrazione di arroganza ed unilateralità nelle scelte. La disponibilità della comunità internazionale nei suoi confronti è però mutata rispetto ad altri momenti storici. La costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme annunciata durante la visita in Israele del vicepresidente americano Joe Biden (una sorta di affronto agli stessi Usa), la vicenda dell’uso di passaporti Inglesi da parte del Mossad (il servizio segreto israeliano) per compiere l’assassinio di Mahmoud al Mabouh in un hotel di Dubai sono solo due degli ultimi cunei che stanno filando la marmorea solidità dello stato ebraico. Intanto nella Striscia di Gaza si continua a morire di stenti e di malattie, moltre provocate dalle armi chimiche e tossiche usate da Israele durante l’operazione “Piombo Fuso”.

Le speranze del popolo Palestinese. L’isolamento di Israele.

”Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba”. Sono le parole che David Ben Gurion pronunciò nel maggio del 1948 agli ufficiali dello stato maggiore Israeliano. Ben Gurion ha ricoperto importanti incarichi di governo nel suo paese per 13 anni, come ministro della difesa e primo ministro. L’ aeroporto internazionale di Tel Aviv, la capitale diplomatica di Isralele, porta il suo nome. Tanto per ricordare, a chiunque arrivi nello stato ebraico, qual è il pensiero dello stato sionista rispetto alla questione palestinese.
In questi giorni un’escalation di tensione ripropone la questione medio-orientale agli occhi di tutti noi, distratti, che improvvisamente ci ricordiamo di un conflitto che, spesso silenzioso (ed ignorato da mass media e governi) continua indisturbato a provocare miseria, odio, violenza e morte.
La striscia di Gaza è praticamente sotto assedio ed isolata da quando Hamas ha vinto le elezioni palestinesi battendo Al Fatah, partito che gli elettori hanno bocciato in quanto responsabile di essere decaduto nella corruzione e soprattutto di aver sottoscritto accordi sottobanco con Israele; accordi che avrebbero avuto l’effetto opposto rispetto a quello di dare alla Palestina uno stato indipendente e sovrano.
La striscia, Gaza in particolare, sono un ghetto a cielo aperto. Un luogo in cui le condizioni di vita non sono molto differenti rispetto a quelle del Ghetto di Varsavia, dove vennero confinati centinai di migliaia di ebrei durante il secondo conflitto mondiale. A Gaza manca l’acqua, e quella che c’è spesso non è potabile, anzi è inquinata o volutamente avvelenata da sabotatori israeliani. Manca il cibo. Manca il lavoro (la disoccupazione è al 45%). Manca l’assistenza sanitaria. La mortalità infantile è a livelli altissimi. La sopravvivenza delle popolazioni palestinesi nella striscia di Gaza è possibile solo grazie agli aiuti della comunità internazionale. Se non ci fossero, la popolazione sarebbe praticamente destinata a morire di fame. Oppure, ad una rivoluzione armata che oggi è invece evitata da una sorta di assuefazione ad una situazione di subalternità (per usare un eufemismo) ad Israele. In questo clima è facile che trovino terreno fertile e si moltiplichino azioni terroristiche che hanno l’ obiettivo di colpire l’oppressore.
Nella West Bank la situazione è migliore. Ma le risorse sono poche, i territori più produttivi sono stati confiscati o vengono controllati dallo stato ebraico. Le risorse idriche, per fare un esempio, sono gestite da Israele. La mobilità all’interno degli stessi territori è ostacolata da numerosi check-in con soldati armati. Il muro che si sta costruendo sottrae ai palestinesi terreni che prima erano coltivati e che fornivano un supporto importanto per la fragile economica locale. I paesi di Bil’in e Nil’in, promotori di manifestazioni nonviolente contro la realizzazione del muro, sono stati dichiarati zona militare da Israele, impedendo di fatto a locali ed attivisti internazionali di poter proporre la propria protesta pacifica. Ogni grido che si propone contro lo stato di Israele deve essere zittito, ogni voce messa a tacere. La situazione in tutta l’area medio-orientale è evidentemente critica. Israele è un copro estraneo. E nulla fa per cercare di migliorare la situazione, forte com’è delle sue convinzioni e sicura di poter disporre di mezzi economici e militari lo mettono nelle condizioni di autodifendersi con assoluta forza. Nonostante non abbia mai ammesso di disporre di armi nucleari, si stima (secondo fonti attendibili) che lo stato israeliano disponga di almeno 150 testate. E quindi fa praticamente parte del cosiddetto “club dell’atomo” insieme a Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Regno Unito, Pakistan ed India. E a parte le armi nucleari, con i suoi 186.500 effettivi (secondo i dati del 2008) tra uomini e donne, le forze armate di Israele sono una forza che in caso di necessità può triplicarsi in poche ore, grazie alla mobilitazione di 445.000 riservisti. 'esercito d'Israele conta 15 divisioni suddivise in 76 brigate, 3.500 carri armati, 10.000 mezzi blindati vari veicoli per il trasporto truppe, ai quali si aggiungono 1.300 pezzi d'artiglieria[2]. Fiore all'occhiello delle forze armate, sempre secondo i dati del 2008, è l'aviazione che invece può contare su ben oltre 300 aerei da combattimento, oltre 40 aerei da trasporto e 302 elicotteri (compresi quelli d'assalto Apache), mentre la difesa antiaerea vanta un centinaio di batterie missilistiche (a lunga e media gittata). La marina israeliana può dal canto suo schierare 3 sottomarini, 17 navi da combattimento e 33 pattugliatori (fonte wikipedia). Insomma, in poche parole, Israele potrebbe fare da solo, e spesso fa da solo, compiendo azioni militari unilaterali come è accaduto recentemente proprio a Gaza e in Libano.
Barak Obama, il presidente degli USA, ha l’obiettivo di far ripartire il processo di pace e soprattutto di fargli intraprendere una rotta nuova per portare il negoziato ad un approdo sicuro. Questa accelerazione pare stia infastidendo lo stato ebraico che le braccia protettive di Stati Uniti e Regno Unito, a quanto pare, tengono meno stretto rispetto al passato.
La costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme annunciata durante la visita in Israele del vicepresidente americano Joe Biden, la vicenda dell’uso di passaporti Inglesi da parte del Mossad (il servizio segreto israeliano) per compiere l’assassinio di Mahmoud al Mabouh in un hotel di Dubai sono solo due degli ultimi cunei che stanno filando la marmorea solidità dello stato ebraico.
E la reazione è opposta a quella che invece in molti si attendevano. Ecco dunque che nel periodo di maggiore isolamento internazionale Israele minaccia una nuova operazione militare nella striscia di Gaza, dove i residui di armi al fosforo mietono ancora vittime a distanza di mesi. Come a dire: noi andiamo avanti per la nostra strada, anche da soli.

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sabato 10 aprile 2010

Non voglio i tuoi grazie!

783 volte grazie, 2.345 volte grazie. 4.873 volte grazie. 12.678 volte grazie. E così discorrendo.
E’ la solita “farsa” tramutata in manifesto di ringraziamento post-elettorale. Perché la mania di sprecare carta (ed insudiciare le nostre città) con affissioni senza regola, non può mica finire con il voto. Grazie per la fiducia. Grazie perché mi consentite di rappresentare il mio territorio in comune, in provincia, in regione e in parlamento, . Grazie di cuore. Grazie di fegato. E grazie di milza. Grazie, grazie e grazie. Ma grazie di che? Cioè, ammetto che la candidatura abbia come prospettiva ideale quella dell’ elezione. Sarebbe strano auspicarsi il contrario. E so bene che i costi per sostenere una campagna elettorale siano elevati, ancor più se le pubblicità sono prodotte e presentate senza regole e senza pudore, occupando qualsiasi spazio libero disponibile. Con rispetto della par condicio tra l’altro. Mi è capitato di vedere un pratico esempio di pari distribuzione degli spazi abusivi di propaganda elettorale a Vitigliano, dove il contenitore giallo per la raccolta degli abiti usati è divenuto comitato elettorale di Palese, mentre la cabina del metano fa gli spot a Vendola. Giusto per fare un esempio. E quindi immagino che l’ elezione sia ad esempio una sorta di rimborso spese. Ma tornando al tema, grazie de che? Di cosa mi stai ringraziando? Di essere finalmente entrato nel giro che conta? Di esserti accaparrato una vitalizio non indifferente? Di cosa vuoi ringraziarmi, polico eletto? Io non voglio che tu mi ringrazi. Voglio che ti metti a lavorare. Già di per se, il solo fatto di averti votato mi crea un contrasto interiore non indifferente. Ho i rimorsi, perché il 50% di me pensa che tu potresti deludermi domani mattina. Dove deludermi è un eufemismo. La percentuale restante si divide in sottopercentuali di vario genere che, ti posso assicurare, non sono per la maggior parte a tuo favore. Vivo di speranza, vivo di sogni, vivo di buoni propositi. Io. Non tu. Tu, ora che sei stato eletto, dovresti vivere (ancor più). Ti sei caricato una pesante croce diavolo! Ed è inutile che me lo dici (grazie), che me lo stampi su quei ridicoli manifesti. E’ naturale che ti ho votato per “fare” e non per “farti”. Quindi ti prego di non ringraziarmi per niente. Almeno per adesso. Anzi, se proprio ci tieni, ringraziami quando avrai finito. Perché hai intenzione di finire un giorno, o no? Non vorrai mica prendere esempio da un Formigoni o un Errani qualunque? Gli (in)governatori! Insomma, quando sarai consapevole di aver fatto il tuo lavoro (se mai succederà), allora ringraziami.
In fondo il ringraziamento è come un applauso alla fine di un concerto.
Dopo una splendida esibizione, il giusto tributo.
O forse saranno assordanti fischi!

martedì 6 aprile 2010

Israele contro tutti?

Braccio di ferro tra Israele e la comunità internazionale.
Intanto il popolo palestinese,continuamente umiliato, sopravvive e spera.

”Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba”. Sono le parole che David Ben Gurion pronunciò nel maggio del 1948 agli ufficiali dello stato maggiore Israeliano. Ben Gurion ha ricoperto importanti incarichi di governo nel suo paese per 13 anni, come ministro della difesa e primo ministro. L’ aeroporto internazionale di Tel Aviv, la capitale diplomatica di Isralele, porta il suo nome. Tanto per ricordare, a chiunque arrivi nello stato ebraico, qual è il pensiero dello stato sionista rispetto alla questione palestinese.
In questi giorni un’escalation di tensione ripropone la questione medio-orientale agli occhi di tutti noi, distratti, che improvvisamente ci ricordiamo di un conflitto che, spesso silenzioso (ed ignorato da mass media e governi) continua indisturbato a provocare miseria, odio, violenza e morte.
La striscia di Gaza è praticamente sotto assedio ed isolata da quando Hamas ha vinto le elezioni palestinesi battendo Al Fatah, partito che gli elettori hanno bocciato in quanto responsabile di essere decaduto nella corruzione e soprattutto di aver sottoscritto accordi sottobanco con Israele; accordi che avrebbero avuto l’effetto opposto rispetto a quello di dare alla Palestina uno stato indipendente e sovrano.
La striscia, Gaza in particolare, sono un ghetto a cielo aperto. Un luogo in cui le condizioni di vita non sono molto differenti rispetto a quelle del Ghetto di Varsavia, dove vennero confinati centinai di migliaia di ebrei durante il secondo conflitto mondiale. A Gaza manca l’acqua, e quella che c’è spesso non è potabile, anzi è inquinata o volutamente avvelenata da sabotatori israeliani. Manca il cibo. Manca il lavoro (la disoccupazione è al 45%). Manca l’assistenza sanitaria. La mortalità infantile è a livelli altissimi. La sopravvivenza delle popolazioni palestinesi nella striscia di Gaza è possibile solo grazie agli aiuti della comunità internazionale. Se non ci fossero, la popolazione sarebbe praticamente destinata a morire di fame. Oppure, ad una rivoluzione armata che oggi è invece evitata da una sorta di assuefazione ad una situazione di subalternità (per usare un eufemismo) ad Israele. In questo clima è facile che trovino terreno fertile e si moltiplichino azioni terroristiche che hanno l’ obiettivo di colpire l’oppressore.
Nella West Bank la situazione è migliore. Ma le risorse sono poche, i territori più produttivi sono stati confiscati o vengono controllati dallo stato ebraico. Le risorse idriche, per fare un esempio, sono gestite da Israele. La mobilità all’interno degli stessi territori è ostacolata da numerosi check-in con soldati armati. Il muro che si sta costruendo sottrae ai palestinesi terreni che prima erano coltivati e che fornivano un supporto importanto per la fragile economica locale. I paesi di Bil’in e Nil’in, promotori di manifestazioni nonviolente contro la realizzazione del muro, sono stati dichiarati zona militare da Israele, impedendo di fatto a locali ed attivisti internazionali di poter proporre la propria protesta pacifica. Ogni grido che si propone contro lo stato di Israele deve essere zittito, ogni voce messa a tacere. La situazione in tutta l’area medio-orientale è evidentemente critica. Israele è un copro estraneo. E nulla fa per cercare di migliorare la situazione, forte com’è delle sue convinzioni e sicura di poter disporre di mezzi economici e militari lo mettono nelle condizioni di autodifendersi con assoluta forza. Nonostante non abbia mai ammesso di disporre di armi nucleari, si stima (secondo fonti attendibili) che lo stato israeliano disponga di almeno 150 testate. E quindi fa praticamente parte del cosiddetto “club dell’atomo” insieme a Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Regno Unito, Pakistan ed India. E a parte le armi nucleari, con i suoi 186.500 effettivi (secondo i dati del 2008) tra uomini e donne, le forze armate di Israele sono una forza che in caso di necessità può triplicarsi in poche ore, grazie alla mobilitazione di 445.000 riservisti. 'esercito d'Israele conta 15 divisioni suddivise in 76 brigate, 3.500 carri armati, 10.000 mezzi blindati vari veicoli per il trasporto truppe, ai quali si aggiungono 1.300 pezzi d'artiglieria[2]. Fiore all'occhiello delle forze armate, sempre secondo i dati del 2008, è l'aviazione che invece può contare su ben oltre 300 aerei da combattimento, oltre 40 aerei da trasporto e 302 elicotteri (compresi quelli d'assalto Apache), mentre la difesa antiaerea vanta un centinaio di batterie missilistiche (a lunga e media gittata). La marina israeliana può dal canto suo schierare 3 sottomarini, 17 navi da combattimento e 33 pattugliatori (fonte wikipedia). Insomma, in poche parole, Israele potrebbe fare da solo, e spesso fa da solo, compiendo azioni militari unilaterali come è accaduto recentemente proprio a Gaza e in Libano.
Barak Obama, il presidente degli USA, ha l’obiettivo di far ripartire il processo di pace e soprattutto di fargli intraprendere una rotta nuova per portare il negoziato ad un approdo sicuro. Questa accelerazione pare stia infastidendo lo stato ebraico che le braccia protettive di Stati Uniti e Regno Unito, a quanto pare, tengono meno stretto rispetto al passato.
La costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme annunciata durante la visita in Israele del vicepresidente americano Joe Biden, la vicenda dell’uso di passaporti Inglesi da parte del Mossad (il servizio segreto israeliano) per compiere l’assassinio di Mahmoud al Mabouh in un hotel di Dubai sono solo due degli ultimi cunei che stanno filando la marmorea solidità dello stato ebraico.
E la reazione è opposta a quella che invece in molti si attendevano. Ecco dunque che nel periodo di maggiore isolamento internazionale Israele minaccia una nuova operazione militare nella striscia di Gaza, dove i residui di armi al fosforo mietono ancora vittime a distanza di mesi. Come a dire: noi andiamo avanti per la nostra strada, anche da soli.

lunedì 30 novembre 2009

Prova a farlo...

Credi di essere arrivato, finalmente... invece sei appena partito.
Prendi il testimone da te stesso, da quello che eri prima, nella staffetta della vita.
Forse hai corso un pò con gli occhi chiusi, senza guardarti intorno. In realtà lo hai fatto per lunghi tratti. Vorresti correre al contrario per osservare tutto ciò che ti sei perso.
E spesso ti sei perso anche te stesso. Non ti sei accorto di te.
Il tempo intanto scorre, senza soste. Vigliacco. Rapido. Netto.
Ogni minuto passato è un minuto che non tornerà più. Te ne aspettano tanti ancora.
Vivili sempre con gli occhi bene aperti.
Non perderti nessuno scorcio della tua vita.

Prova a farlo...se ci riesci...

venerdì 25 settembre 2009

L' imposizione della democrazia

Vogliono ancora farci credere che in Afghanistan si stia compiendo una missione di pace. Vogliono ancora farci credere che siamo tutti fessi. E ci riescono molto bene, in fondo.
Dopo l'attentanto di Kabul, che è costato la vita a 6 parà italiani, si sono susseguiti altri atti intimidatori contro i militari inviati dal nostro governo. Per fortuna con conseguenze meno gravi.
Ho sentito commenti nei TG del tipo: ormai i Talebani hanno perso di mano la situazione, non hanno più il controllo dei territori, sono in difficoltà.
Il conflitto afgano, perchè tale è, si combatte ormai da 8 anni.
E senza alcun risultato visibile. Anzi, in realtà la situazione è peggiorata.
L'obiettivo principale era la cattura di Osama Bin Laden. Introvabile.
Nel suo ultimo video ha quasi ragione Bin. Parla degli occupanti, delle morti che hanno provocato, dell' incolpevolezza del popolo afgano stesso. Diavolo di un Osama! Hai ragione!
La "missione di pace" provoca evidentemente solo morte, distruzione ed una incredibile escalation di rancore. Sia da parte degli occupati che degli occupanti.
Si è avviato un processo pericoloso che, senza mezzi termini, sta ulteriormente allontanando quel territorio e quel popolo dalla democrazia. Sempre che ne abbia bisogno.
Gli Usa inoltre hanno imposto al governo dell' Afghanistan un uomo corrotto, colluso con i corrotti, ma evidentemente elegantissimo. Questo non basta ai cittadini che, in gran parte, non si riconoscono in questa vita politica. I talebani, dal canto loro, cavalcano queste motivazioni per conquistare consensi a livello politico. E li ottengono con facilità.
I militari dell' ONU sono ormai visti come gli unici responsabili di ogni disgrazia afgana. Se loro non ci fossero non ci sarebbero i bombardamenti, le morti di civili tra cui tantissime donne, anziani, bambini.
Forse, il popolo afgano è abituato a scegliere il meno peggio.
E, in questo caso, il meno peggio sono i Talebani, molto più vicini culturalmente rispetto alla visione politico-economia e culturale occidentale.
Esportiamo la democrazia, con la forza ad un popolo che, probabilmente, non ne sentiva la necessità.
Sarebbe ora di curare la nostra di democrazia...